First of the roll: la bellezza dell’errore

shapes-07

Forse non ci credete, ma la fase più difficile della fotografia è proprio quella iniziale, cioè mettere la pellicola nella macchina.

Così esordiva un capitolo del Fotomanuale.

In effetti, per chi lo ricorda o per chi usa ancora l’apparecchiatura analogica, quello del posizionamento della pellicola è sempre stato un momento di massima concentrazione: la gestualità tecnica si muove insieme alla foga di mirare, all’emozione di fissare nuove immagini sul rullino della memoria. Così, talvolta ci si dimentica di dover scattare a vuoto i primi giri di pellicola «per poter stare matematicamente sicuri che la pellicola avanza regolarmente e non rischia di sganciarsi sul più bello», ricorda ancora il manuale.

Lo scatto analogico è immediato, si mira senza possibilità di ripensamenti, senza poter cancellare il file dalla memory card, senza alcun display per la visione in anteprima del mondo. Il contapose avanza e i fotogrammi disponibili diminuiscono, solo quando le immagini saranno fissate e sviluppate è possibile controllare l’esito. E non è forse questo il momento più emozionante?

L’adrenalina sale sotto la luce rossa, e tra l’odore pungente degli acidi finalmente viene svelata la pellicola. Il primo fotogramma, si sa, è perduto, bruciato dalla luce. L’intenzione iniziale è quello di eliminarlo ma quell’ errore, insito nel processo analogico, può rivelare una bellezza imprevedibile.

Nel 2016, il parigino Marion Herbain ha aperto First Of The Roll, un account instagram dedicato al primo frame del rullino da 35mm. Le migliaia di immagini condivise da professionisti e amatori raccontano le storie personali di quell’inizio, ciò che doveva essere scartato è invece celebrato, perché la potenza visiva dell’immagine fotografica non è espressa solo ed esclusivamente dalla perfezione. Nel saggio L’errore fotografico, il critico e curatore Clément Chéroux dimostra come l’evoluzione del linguaggio fotografico sia stato definito proprio dagli errori. «Cancellature e fallimenti, sorprese belle o brutte, détournements, lapsus e pasticci» sono le chiavi per accedere a nuove possibilità creative. Un punto di vista condiviso anche dalla fotografa Diane Arbus, secondo la quale

«è importante fare brutte fotografie, sono proprio le brutte fotografie che rappresentano quello che non si è mai fatto prima (…)».

Forse, aggiungerei io, è in generale importante lasciarsi sbagliare, evitare di filtrare la realtà e ricominciare ad osservarla, e anche documentarla, con tutte le sue imperfezioni. Ritroviamo così in quei particolari una nuova autenticità, che possa ridefinire la fruizione delle immagini, delle opere d’arte e della realtà stessa.

First of the roll: la bellezza dell’errore